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Probabilmente l'invenzione più sfortunata tra quelle di Silvio Corradi fu la "pioggia artificiale". Gli anni della guerra furono, nel parmense, anche particolarmente aridi da un punto di vista climatico.
Ciò di certo non giovava all'agricoltura, mentre in quel momento più che mai ci sarebbe stata l'urgenza di sfamare una popolazione provata dalle devastazioni e dai bombardamenti. Silvio Corradi era una persona estremamente sensibile e, quando sviluppava le sue idee, avrebbe voluto che portassero un beneficio al mondo intero.
In questo caso il problema era la carenza di pioggia e, quindi, si domandò come si potesse "stimolare" in qualche modo il cielo per far piovere. Le sue più brillanti intuizioni prendevano sempre spunto da piccoli episodi del vivere quotidiano che lui, essendo un acuto osservatore ed una persona estremamente riflessiva, usava come punto di partenza per sviluppare teorie anche molto complesse.
In questo caso notò che se si riempie una bottiglia con un liquido ad una temperatura molto più bassa rispetto a quella dell'ambiente circostante, si forma rapidamente sul bordo esterno del contenitore un fenomeno di condensazione.
Lo abbiamo sicuramente notato tutti, in estate, sorseggiando delle bibite fresche, ma Silvio Corradi, come sempre, non si fermò a questa semplice constatazione. |
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In quella calda e arida estate del 1943, si domandò: "Se noi allo stesso modo brutalmente forzassimo un abbassamento della temperatura a quote molto alte, si andrebbe a formare lo stesso tipo di condensa di liquidi, che si concretizzerebbe in nubi che, a loro volta, farebbero piovere". Fin dal 1943 si attivò per mettere in pratica questa teoria. Contattò aziende che si sarebbero dette disponibili a vendere enormi quantitativi di ghiaccio secco, che lui voleva far portare ad alta quota da aeroplani e poi "sparare" nell'etere per ottenere questo abbassamento forzato della temperatura, tale da causare la condensa e, con essa, la pioggia.
Si rivolse a vari comandi di quella che allora si chiamava Regia Aeronautica (oggi Aeronautica Militare), ma la situazione in Italia, come del resto in tutta Europa e praticamente in tutto il mondo, era drammatica, e in quei momenti gli aerei servivano a compiere missioni considerate ben più pressanti. Silvio Corradi si rivolse ad un privato, Adriano Mantelli, pilota e costruttore amatoriale che aveva realizzato un piccolo aeromobile con il marchio Alaparma. Mantelli si disse disposto a credere nell'iniziativa, ma tutta l'operazione aveva dei costi e la non facile condizione nazionale in quei momenti fece il resto, per cui Silvio Corradi e Adriano Mantelli da soli non poterono attuare il piano. |
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Nel frattempo, però, l'idea di Silvio Corradi, pur presa in esame fino a quel momento soltanto sul piano teorico, ebbe buona considerazione da parte della stampa locale, che le dedicò ampio spazio e commenti positivi. Nel 1945 la situazione mondiale stava tornando a stabilizzarsi e gli americani, a guerra finita, non erano più un nemico, pur continuando a rappresentare una forza di occupazione. L'estate del 1945 fu di nuovo particolarmente calda e secca e Silvio Corradi, che nel frattempo non si era perso d'animo, decise che se la Regia Aeronautica non poteva (o non voleva) mettere a disposizione un proprio aereo, magari gli Stati Uniti, nazione ricca, potente, dotata di una flotta aerea imponente e da sempre caratterizzata da una grande fiducia nella libera iniziativa e nell'intraprendenza, avrebbero potuto organizzare la sperimentazione. Silvio Corradi si presentò al comando americano di via Cavestro a Parma ed illustrò una bozza dettagliata del progetto. La risposta dei militari "a stelle e strisce" fu che sicuramente l'idea era brillante ma che loro, al di fuori dei confini nazionali, non godevano dei permessi e dei mezzi per aiutare gli inventori "esteri".
Nel novembre del 1946, vi fu l'epilogo che lasciava l'amaro in bocca: su tutti i quotidiani e periodici nazionali e internazionali fu dato grande risalto alla notizia che nel Massachusetts uno staff tecnico diretto da un fino ad allora sconosciuto meteorologo, Vincent J. Schaefer, era riuscito a forzare le condizioni climatiche facendo piovere semplicemente con il lancio di ghiaccio secco ad alta quota da parte di aeromobili. È possibile che negli stessi giorni, in cui Silvio Corradi elaborava la sua invenzione, dall’altro capo dell'oceano, un altro inventore si fosse posto esattamente gli stessi problemi e fosse giunto alle stesse conclusioni rendendole note tre anni dopo? O è più verosimile che il comando parmense delle forze armate americane avesse fatto tesoro di tutti i dettagli del progetto presentato dall'inventore di Parma e li avesse poi inviati in patria perché qualcun altro mettesse in pratica l'idea?
In quella sera di novembre – per ironia della sorte una sera di pioggia fitta, quasi torrenziale – Silvio Corradi, ferito, amareggiato, salì di corsa le scale della redazione della "Gazzetta di Parma", portando con sé il numero di quel giorno del quotidiano, con l'articolo dedicato "all'invenzione del dottor Schaefer", ed un numero di tre anni prima in cui la stessa testata dedicava ampio spazio "all'invenzione di Silvio Corradi". Ai redattori non restò altro che confermare la buona fede dell'inventore che ben conoscevano di persona e che avevano più volte intervistato. Ma, nonostante alcuni studiosi italiani, tra i quali l'ing. Marcello Lelli dell'Università di Genova, si fossero detti disposti a testimoniare che già da anni avevano incontrato di persona Silvio Corradi per parlare di un progetto di "pioggia artificiale", alla fine l'inventore, che non aveva mai inseguito sogni di ricchezza, ma desiderava soltanto il giusto riconoscimento per i suoi progetti e un po' di beneficio per tutti dalle sue creazioni, non ebbe la soddisfazione di vedersi attribuire la paternità di quest'idea. |
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